Storia e lettura dello spazio sociale


COLONIALISMO ITALIANO IN ERITREA:

  una lettura dello spazio sociale*


PERIODO MARTINI 1897-1908

La prima colonia agricola realizzata all’Asmara

Ferdinando Martini, primo governatore civile dell'Eritrea, fu colui che contribuì in modo deciso al consolidamento del ruolo coloniale in Eritrea. Egli scrisse che la principale missione del colonialismo non era quella di civilizzare il nativo, ma di sostituirlo con l'italiano. In questa prima fase, secondo la politica del Primo Ministro Crispi infatti, la "Colonia primigenia" era destinata a diventare una colonia di popolamento, dando uno sbocco alle quote di flusso migratorio in Patria che dopo il 1870 avevano dimensioni di rilevante portata sociale.
L'acquisizione della Colonia avrebbe permesso l'insediamento di migliaia di coloni in territori che erano stati occupati senza incontrare apparentemente alcuna seria resistenza(1).  Martini fu obbligato ad introdurre un sistema di dominio in cui la tradizionale élite politica eritrea era assunta per comandare per conto dello Stato coloniale, alzando al tempo stesso una barriera razziale rafforzata dall'esclusione dei nativi dall'istruzione occidentale. In questo contesto la posizione dell'eritreo era quella di un individuo tenuto sotto la soggezione di una nazione militarmente più forte per i propri interessi ed il suo destino era di essere comandato e confinato in un mondo strutturalmente diverso da quello del colonizzatore.
Ferdinando Martini infatti in un primo momento osteggiò duramente l'istruzione per i nativi perché la vedeva come una minaccia al colonialismo, era convinto che una popolazione istruita potesse sfidare le basi del potere coloniale e rendere il governo dell'Eritrea indebitamente costoso se non impossibile da sostenere.
Le colonie, affermava Martini, erano create dalle braccia ed erano mantenute dall'aura di prestigio che circondava il colonizzatore europeo. In altre parole le colonie potevano essere mantenute solo con una rigida separazione di razze, coltivando il prestigio europeo faccia a faccia col colonizzato e negando alla popolazione autoctona l'accesso all'istruzione occidentale (2).


Laboratorio fotolitografico del Ministero della guerra,
piano della piazza di Asmara, 1895.

Oltre alla convinzione di voler mantenere una distanza intellettuale con la popolazione locale, Martini si confrontava anche coi problemi finanziari e con il basso tasso di scolarizzazione e l'analfabetismo assai diffuso tra la popolazione italiana stessa. Egli fece aprire tre scuole per italiani ad Asmara, Cheren ed Adi Ugri (a Massaua esistevano già scuole della Missione cattolica così come a Saganeiti, Cheren ed Asmara). Non era infatti persuaso della qualità dell'insegnamento delle scuole confessionali italiane e trovava assurdo che il governo coloniale non si facesse carico di questo compito primario.
Per quanto riguarda le scuole per indigeni Martini era convinto che: "Tenuto conto dello stato di civiltà delle popolazioni a noi soggette non è da parlare né di istruzione obbligatoria né di corsi regolari, ma semplicemente della necessità di aprire delle scuole ove, oltre ai primi elementi dell'istruzione, si miri principalmente all'insegnamento dell'italiano" (3). Di queste scuole ce ne sarebbe stata una per suddivisione territoriale della Colonia in modo che capi e notabili indigeni potessero mandarvi i figli ad imparare la lingua dei funzionari.
Nel 1906 vi erano alcune decine di scuole per nativi, alcune della Missione cattolica, altre della Missione svedese (Assab, Ghinda, Baresa e Belesa), e varie indigene (per esempio la scuola coranica, unica scuola precoloniale che potesse dirsi "istituzionalizzata", anche se di base religiosa). Le Missioni svedesi del reverendo Jvarson ammontavano a sette, tre in paesi copti, due tra i musulmani e due tra i Beja pagani. Le lezioni erano impartite i tigrè, tigrino, bileno e cunama; i missionari mandavano a loro spese ben 45 maestri per 500 ragazzi (4).
Negli ultimi tempi del governatorato, su iniziativa del Commissariato regionale ma a spese dei capi musulmani, fu aperta una nuova scuola in cui Martini pensò di inviare funzionari coloniali che conoscessero la lingua araba, per insegnare l'italiano. Tale progetto fu completato sotto Salvago Raggi. Per un appropriato svolgimento del processo di colonizzazione erano reclamate pacificazione e sicurezza interna cosicché i coloni potessero vedere garantita la propria indipendenza e libertà insieme al possesso sicuro ed economico dei terreni coltivabili. La pacificazione costituiva anche il presupposto indispensabile per la riduzione delle spese militari e l'attuazione di rapporti e scambi commerciali.

Piano regolatore per la seconda e terza zona di Adi Caieh
a cura della Direzione di colonizzazione, 1909

La distanza giuridica e sociale che separa il colonizzatore dal colonizzato è tradotta anche in termini di spazio urbano allorché si procede ad una globale riorganizzazione territoriale sotto il governatorato Martini. Tutti i provvedimenti che riguardavano la ripartizione amministrativa e la strumentazione edilizia ed urbanistica, erano emanati direttamente dal Governatore della Colonia attraverso il servizio tecnico del Genio civile. Il Governo coloniale indemaniava le aree destinate alla formazione del centro abitato dopo aver redatto uno schema di lottizzazione che veniva poi dato in concessione a privati. I piani stesi tra il 1902 ed il 1904 prefigurano i primi nuclei cittadini ed erano destinati (ad eccezione di Asmara nella cui regione risiedevano i 3/4 degli italiani in colonia) principalmente alle popolazioni locali. Da una prima organizzazione territoriale a carattere strettamente militare, come piazze d'armi e fortificazioni, si passò ad una seconda fase in cui si tendeva a trasformare in centri urbani quegli agglomerati destinati ad essere "Capoluoghi di Commissariato".


Panorama di Adi Ugri dal fortino

Territori che non conoscevano tradizione urbana furono oggetto di una "lezione di civiltà" che investì lo spazio fisico imponendo una geometria che negava i raggruppamenti informali e si contrapponeva al "disordine" del villaggio indigeno, diretta espressione della organizzazione sociale autoctona. L'assoggettamento del nativo a "suddito coloniale" si completa così anche sul versante dell'organizzazione dello spazio abitativo.
La griglia ortogonale, impianto invariabilmente riproposto in oltre due millenni di esperienze di colonizzazione, viene adottato come manifestazione del nuovo ordine che va ad affiancarsi al preesistente villaggio indigeno e ne sviluppa i nuovi quartieri: la tipologia abitativa è ancora quella della capanna cilindro-conica, ma i singoli organismi sono rigorosamente allineati e normalizzati in file parallele.

SECONDA FASE 1908-1932


Ascari al cannone

L'inizio di questo secondo periodo coincide con il governatorato di Salvago Raggi (1908-1914) il quale interpretò la funzione della colonia quale "riserva" di soldati da utilizzare nelle guerre coloniali italiane in Libia. Nel periodo 1911-32 l'Eritrea contribuì alla causa con un esercito di diverse migliaia di uomini, economici da equipaggiare e sostituire ed anche più esperti degli italiani per la guerra contro i nomadi libici. Assistiamo ad un cambiamento di tendenza nella politica indigena del governo coloniale che assunse i toni del paternalismo.
Questa nuova attitudine ribadiva la convinzione di superiorità culturale del potere colonizzatore che aveva la forza e il diritto di parlare per coloro che si trovavano sotto la sua "tutela" e "protezione". Dietro i pronunciamenti carichi di retorica per la missione civilizzatrice toccata in sorte all'Italia si progettava la riorganizzazione economica e lo sfruttamento del mondo del colonizzato.
Sotto Salvago Raggi viene adeguata la strumentazione urbanistica, l'aggiornamento delle disposizioni per la città di Asmara funge da matrice per gli altri centri. L'agglomerato è diviso in quattro zone: la prima destinata esclusivamente alla popolazione europea, la seconda mista (sudditi coloniali ed europei), la terza per indigeni e la quarta per "abitazioni suburbane" (in seguito area industriale).
Oltre aduna serie di indicazioni che fissano la casistica tipologica, i materiali da costruzione, le norme igieniche eccetera, troviamo, per la zona indigena, la seguente prescrizione sempre presente e lapidaria: "le costruzioni saranno eseguite secondo i tipi e con i materiali stabiliti dal Commissariato regionale e allineati secondo i piani regolatori stabiliti".

Odoardo Cavagnari ( Ufficio centrale del Genio civile della colonia Eritrea ),
Asmara, piano regolatore di massima, 1913.

Il regolamento non manca inoltre di precisare che le insegne devono recare "iscrizioni in lingua italiana". Iscrizioni in amharico o arabo sono "tollerate" purché abbinate alla traduzione in italiano. 
Il tipo di spazio abitativo urbano che si delinea è quello di un ambiente in cui vigono criteri di separazione razziale molto incisivi anche se non marcati da confini fisici. I quartieri europei sono vietati alla popolazione locale se non "in qualità di familiari o domestici". La zona europea è quella che nell'impianto si articola con maggiore libertà e varietà di combinazione affrancandosi dalla rigida geometria imposta invece nella zona riservata agli indigeni che risulta uniforme, disciplinata e prestabilita.
La politica della limitazione dell'accesso all'istruzione per gli eritrei fu drasticamente cambiata da Salvago Raggi che fondò le prime Suole Statali. Ci si aspettava che tali scuole fornissero lavoratori istruiti per i servizi postali e telegrafici, attraverso programmi sviluppati ad hoc, diversi da quelli impartiti agli italiani. Il documento emesso nel 1916 sull' educazione indigena spiegava che, nonostante l'istruzione fosse un obbligo del potere coloniale come parte della sua missione civilizzatrice, ragioni politiche rendevano necessaria una chiara linea di tendenza.

Asmara, 1910. Raduno per un picnic a piazza Roma. Foto A. Comini

Il documento evidenziava il potere di trasformazione della scuola sullo spirito e l'intelletto dei nativi, e quindi si avvertivano gli organizzatori delle scuole private di sviluppare un programma distinto da quello italiano e di limitare la scolarizzazione indigena all'equivalente dei primi tre anni dell'istruzione elementare italiana.
Dal 1923 l'educazione eritrea passò nelle mani della Missione cattolica, il cui contributo in colonia era descritto come altamente patriottico. II governo coloniale mantenne un ruolo supervisore e rimase responsabile per l'addestramento militare degli studenti. Questi erano obbligati ad indossare delle uniformi simili a quelle dei soldati coloniali, inoltre durante tutti gli anni del programma erano fornite istruzioni militari e pratiche.
I contenuti dei libri di testo adottati, con una parte in italiano ed una in tigrino, possono essere descritti come il classico insegnamento coloniale concepito sulla base di una scarsa conoscenza della eredità culturale dei nativi e con la riluttanza ad ammettere che la cultura del colonizzato potesse essere insegnata nelle scuole. I testi erano composti interamente da letteratura italiana.

Cartolina ricordo del V Battaglione Eritreo di stanza in Libia nel 1912.

I profili degli "uomini illustri di scienza e carità" proposti nei manuali erano senza eccezione italiani, dando l'impressione che il mondo delle conoscenze fosse dominato dall'Italia. Il materiale narrativo era organizzato in modo da inculcare rispetto e gratitudine verso il potere italiano in Eritrea. L'Italia era descritta come la madrepatria degli eritrei e la più potente nazione del mondo. In un libro di testo del 1912 nella sezione dei doveri verso l'Italia veniva spiegato che per essa valeva la pena morire così come veniva considerato un atto di valoroso patriottismo la partecipazione eritrea ai conflitti coloniali in Somalia e Libia. In un altro testo del 1923 emergono due immagini: da una parte l'Eritrea arretrata, il cui destino giaceva nelle mani dell'Italia; dall'altra parte l'Italia, come grande e disinteressato potere coinvolto nella civilizzazione della colonia. Il contrasto tra la grandezza della madrepatria e la colonia che era condannata "a secoli di stagnazione fino all'arrivo degli italiani" era evidente in tutti i testi. Nel testo del 1930 troviamo descritte le mete del colonialismo italiano: gli italiani stavano facendo ciò che i romani fecero in tempi antichi diffondendo l'istruzione e migliorando le condizioni di vita della gente. L'incremento della popolazione, l'espansione dei commerci, lo sviluppo delle infrastrutture e l'estensione delle cure mediche erano precisate per illustrare ulteriormente le motivazioni altruistiche del colonialismo. Lo Stato italiano ed il governo coloniale credevano fermamente nell'impatto trasformativo dell'educazione e nella possibilità di impartire l'istruzione in modo tale da incontrare le esigenze del potere coloniale, plasmando una popolazione indigena sottomessa.

Scuola per giovani eritrei, futuri ascari, come testimonia l’uniforme che indossano

Col passare degli anni cresceva comunque da parte eritrea la richiesta di prolungare il corso di studi. Nel 1931 fu emanato un decreto che prevedeva un'istruzione base di quattro anni in aggiunta al programma base di arte e mestieri. Andava infatti diffondendosi l'antico pregiudizio abissino che certi mestieri fossero riservati alle classi sociali più basse (nel 1930 in tre scuole furono soppresse le sezioni per i lavori manuali per mancanza di alunni). Sebbene il governo avesse supposto per decreto la formazione di scuole medie e superiori, queste non furono mai fondate, il Sovrintendente infatti ritenne che l'istituzione di tali scuole stesse creando un falso orgoglio presso i sudditi. In tale ottica è da considerarsi il deteriorarsi dei rapporti del governo coloniale con la Missione svedese a partire dal 1925. Infatti gli studenti che provenivano dalle scuole della missione mostravano un vivo attaccamento all'Etiopia, dove i ragazzi più volenterosi ed intelligenti si recavano per continuare gli studi. Nel 1926 il governo obbligò la missione svedese ad insegnare le sole materie religiose e nel 1932 tutte le scuole della missione furono chiuse. Secondo il censimento del 1931 erano 6181 gli eritrei che potevano leggere e scrivere in italiano. La scuola coloniale rimaneva comunque un'istituzione di élite accessibile al massimo al 2% della popolazione. 


TERZA FASE 1934-1940

Copertina de:”L’Illustrazione coloniale: rassegna d’espansione italiana, n.3, 3-1936.

Nonostante sia controverso il preciso momento in cui fu decisa l'invasione dell'Etiopia, già nel 1932 furono eseguiti studi in tal senso. In uno di questi studi ci si aspettava che L'Eritrea fornisse un esercito di 52.600 uomini che sarebbe potuto arrivare fino a 60-80.000. Questa stima fu compilata dai quartieri generali militari in Eritrea basandosi sull'assunto che una popolazione di 600.000 persone potesse fornire un esercito di quelle proporzioni (5). In linea con questo lavoro nel 1934 iniziarono i piani di reclutamento. I soldati coloniali avevano prestato servizio volontario fino al 1930, in seguito furono obbligati ad andare a combattere oltremare se veniva loro richiesto. Da questo momento, con uno sforzo crescente l'esercito di ascari fu aumentato fino a 60.200 unità e diventò il modello esemplare su cui furono organizzati gli altri reggimenti coloniali (6). L'impatto negativo di questa politica, che aveva portato via lavoratori alla campagna, fu tamponato con immigrati nord-etiopici che coltivavano per coloro che erano stati reclutati (l'esercito aveva sottratto il 40% della forza lavoro attiva).

Dogali, 28 Ottobre 1935. Inaugurazione del nuovo ponte. Foto Luce.

In linea con questo lavoro nel 1934 iniziarono i piani di reclutamento. Gli italiani presenti in colonia nel 1931 erano 4188 (meno dell'1% della popolazione locale), tale distribuzione variò repentinamente dai primi mesi del 1935 in poi. Tra l'Aprile 1935 ed il Maggio 1936 arrivarono 300.000 soldati italiani che sbarcarono insieme a 50.000 lavoratori. L'Eritrea stava trasformandosi nella testa di ponte per l'invasione dell'Etiopia e nel centro nevralgico del nuovo impero che gli italiani stavano per costruire. Furono investiti grossi capitali e sorsero industrie (prevalentemente di servizi) come risultato dell'afflusso di manodopera e capitali dalla madrepatria.
Nell'Eritrea "storica" la popolazione italiana passò dai 4600 abitanti del 1936 ai 75.000 circa del 1939 (il 15% circa della popolazione locale) (7). Se nel 1890 quasi la totalità dei 100.000 abitanti indigeni vive nelle campagne, nel 1940, con tendenza all'aumento, almeno il 20% della popolazione eritrea, superate le 600.000 unità, vive nei centri urbani. Nella sola Asmara risiedono 53.000 italiani e 45.000 eritrei.

 Cantieri per la costruzione di strade in AOI.

Per preparare il terreno all’offensiva militare sono impegnati fino ad un massimo di 63.000 operai italiani, affiancati da 6000-7000 autisti civili, nell’arco di pochi mesi si costruiscono 600 chilometri di strada compresa l’arteria principale Massaua-Nefasit-Decamere, sono creati 5400 nuovi posti letto in vari ospedali, aumentano da 3 a 10 gli aeroporti, da 10 a 20 i campi d’atterraggio. Viene ampliato e riattivato il porto di Massaua. La creazione dell’Africa Orientale Italiana rilancia, potenziandola, la politica popolamento dell’Eritrea attraverso la colonizzazione agricola. Ma, a dispetto delle aspettative e dei programmi, i coloni ricavavano guadagni dall’industria e dai commerci piuttosto che dall’agricoltura a piccola scala. Nasce un proletariato urbano. Con tutti i limiti imposti dalla legislazione coloniale, le dinamiche innescate da questa nuova fase di sviluppo hanno indotto trasformazioni anche sulla società eritrea.

Un viadotto della ferrovia Massaua Asmara

Nonostante tutto un certo livello di scolarizzazione si è potuto diffondere, fino al 1938 i figli meticci riconosciuti di molti padri italiani, possono accedere alle scuole italiane venendo a costituire una prima élite intellettuale eritrea. I pochi eritrei che accedono ad una formazione da interpreti e impiegati vanno a costituire il nucleo della futura burocrazia e borghesia locale.
Questa nuova fase del colonialismo italiano si era aperta all'insegna di una ufficiale esasperazione del dominio sul colonizzato attraverso un supporto propagandistico ed ideologico che sfociò in una politica di apartheid. Mentre il razzismo del diciannovesimo secolo, basato sulla superiorità tecnologica europea, aveva portato a politiche paternalistiche, al razzismo degli anni '30 fu dato un preciso fondamento teorico a partire dalla volontà di mantenere la separazione tra le razze che si tradusse nelle leggi razziali del 1937. Nel 1932 il prof. Lidio Cipriani antropologo, aveva pubblicato uno studio in cui l'inferiorità psichica degli africani veniva ripetutamente verificata da "metodi scientifici". Cipriani sosteneva che il destino dell'Africa fosse quello di essere dominata dall'Europa a causa dell'incapacità dei propri abitanti di governarsi da soli. A dare supporto a queste tesi intervenne anche l'ex governatore della Somalia che sosteneva che la continua presenza del colonialismo dipendeva, oltre che dall'uso della forza, anche dalla separazione delle razze a tutti i livelli, specialmente nelle scuole.

L’Impero d’Italia, Il libro della classe V, per studenti statali italiani.

Sebbene L'educazione separata fosse la norma durante tutto il periodo coloniale, il limitare gli eritrei ad un livello elementare basso fu enfatizzato fin dal 1932.
A partire dal 1934 l'istruzione fu giustificata per la sua utilità nel consolidamento del potere coloniale arrivando ad una politica che con chiarezza portò il Sovrintendente Festa ad affermare: "Il bambino deve sapere qualcosa della nostra civilizzazione per renderlo una conscio propagandista nella famiglia dove vive, lontano, nei territori interni. E attraverso la nostra politica educativa, il nativo dovrebbe conoscere l'Italia, le sua glorie e la sua storia antica per divenire un cosciente militante all'ombra della nostra bandiera" (8). Nel 1936 il sistema scolastico fu riorganizzato, il corso disciplinare indigeno fu limitata a tre anni nell'intenzione di assicurarsi che il potere coloniale non potesse essere minacciato attraverso il suo stesso linguaggio.
Nell'Aprile del 1937 fu promulgata una legge secondo cui un cittadino italiano che manteneva relazioni coniugali con un'Eritrea era passibile di imprigionamento da 1 a 5 anni. Nel 1939 le sanzioni penali che miravano alla difesa del prestigio della razza degli italiani in Africa Orientale di fronte ai nativi furono ulteriormente ampliate (9).
La legge finale e definitiva fu promulgata nel 1940 allorchè i meticci furono categoricamente esclusi dalla possibilità di accedere alla cittadinanza italiana. Già nel 1929 si stimava che in Eritrea vi fossero 1000 meticci su una popolazione di 3500 bianchi (10). Il fenomeno era fonte di preoccupazione per il governo coloniale che da anni tentava di prendere misure per regolamentare la paternità fuori dal matrimonio.

Alunni europei di Asmara, ca. 1920.

L'identità dei meticci rimaneva ambigua anche da un punto di vista giuridico: cittadini italiani o sudditi? Nel momento in cui non erano riconosciuti dal padre essi finivano per essere emarginati anche dalla comunità indigena, per la quale di solito, i figli appartengono alla famiglia paterna, derivando da questa nome e proprietà. La presenza di figli illegittimi in colonia finiva per rappresentare un fenomeno destabilizzante per gli assetti economici tradizionali (relativamente alla suddivisione della proprietà).

Ufficiale italiano con la propria madama, 1895 (Foto G. Quattrociocchi).

La dimensione di tale fenomeno era da ricercarsi nelle forme di concubinaggio (madamato) fra italiani ed africane, registrate già a partire dalle prime esperienze stabili in colonia di esploratori, missionari ed agenti di governo. In seguito, con l'occupazione militare della colonia, tale pratica fu tollerata se non apertamente incoraggiata per arginare il fenomeno, ben più preoccupante dal punto di vista sanitario, della prostituzione. Anche in seguito la scarsa presenza di donne bianche in colonia induce a ricorrere al madamato.
A giustificazione del desiderio di conquista della donna nera viene anche invocata l'abusata teoria della facilità di costumi indigeni, come assenza di moralità, ed una più o meno inconsapevolmente equivocata lettura delle locali usanze matrimoniali. Esisteva infatti in Eritrea una forma matrimoniale temporanea (istituto del Damòz) riconosciuta dal diritto consuetudinario locale che tuttavia tutelava i diritti delle donne e dei figli nati nell'ambito di tale unione. Le indigene che convivevano con gli italiani, non a caso, se ne ritenevano mogli legittime. Non così per gli italiani che per la maggior parte consideravano al pari di serve le proprie madame.

Cinema Impero per italiani, cinema Hamasien per eritrei, Asmara 1938. La separazione riguarda anche alberghi, ristoranti, bar, ritrovi, treni ed autobus.

All'inizio del 1937 il fenomeno del madamismo aveva assunto dimensioni così preoccupanti da minacciare l'intera politica razziale del fascismo. I conquistatori dell'Etiopia rischiavano di rimanere conquistati a loro volta attraverso il sesso.  Vengono date istruzioni perentorie ai comandanti di truppa e ai governatori per vigilare sul fenomeno, ma in queste abitudini sono coinvolti spesso gli stessi uomini che dovrebbero far rispettare l'ordine. Ciò condusse al rimpatrio di vari quadri dell'esercito e all'istruzione di processi contro civili. Ciò che il regime tenta in ogni modo di prevenire era il formarsi di una terza razza. Tutta la stampa di regime viene mobilitata per combattere questo pericolo: sono ripudiate all'istante tutte le teorie che fino al 1922 respingevano la tesi dell'inferiorità fisica e psichica dei meticci e viene affermato che le poche eccezioni "non possono che confermare la regola generale, che si compendia nella natura sovversiva, politicamente e moralmente, dei meticci" (11). C'è anche chi sottolinea che "il prodotto degli incroci riassume in sé le qualità peggiori dei progenitori e tende ad una dissociazione dei caratteri: la quale in ulteriori ibridazioni, si presenta con aspetto degenerativo sempre più accentuato" (12).


Discorso di Mussolini sul prestigio della razza, Trieste, 18 Settembre 1938.

Con la legge n. 822 del 13 Maggio 1940 si completa l'ampia campagna di dissuasione stabilendo che il meticcio assuma lo statuto del genitore nativo, ordinando quindi il totale riassorbimento dei mulatti nella società indigena, abolendo inoltre tutti quegli istituti, collegi e pensionati per meticci con i quali, in epoca liberale, si era cercato di rendere meno penosa la sorte dei meticci. L'intenzione era quella di mantenere due comunità polarizzate di dominatori e dominati potendo in tale modo esercitare agevolmente una politica indigena lungo linee di apartheid.
Pur contribuendo efficacemente al consolidamento di atteggiamenti discriminatori e razzisti, le direttive del regime sul madamato restavano sostanzialmente disattese o aggirate: alla conclusione dell'esperienza coloniale in Africa Orientale si conteranno 35.000 meticci di cui 10.000 circa nati tra il 1936 ed il 1940.

NOTE
1 In realtà più di mille persone che potevano minacciare il dominio coloniale furono giustiziate sommariamente.
3  "Visita alle scuole. Non ne parliamo. Quelle Suore di S.Anna sono idiote: quel loro istituto è, né altro potrebbe essere, che un vivaio di madame. Già quella miscela di bianchi e neri nella stessa scuola non va; secondo me i neri sono più pronti di noi e la superiorità del bianco, su cui si fonda ogni regime coloniale, nelle scuole è smentita. Soprattutto bisogna pensare ai libri: ci vogliono libri apposta". F. Martini, Diario Eritreo, voll. 1-2-3-4, Firenze, s.d.
3 F. Martini, Relazione sulla colonia eritrea, 1902-1907 I, Roma 1913, p.150.
4 R. Paoli, Nella colonia Eritrea, Milano, 1908. 
5 Ministero della Guerra La campagna 1935-36 in Africa orientale, vol.I,p.123.
6 Alla vigilia della guerra italo-etiopica l'Italia aveva un esercito coloniale di 100.000 uomini, 20.000 dei quali dalla Somalia, 20.000 dalla Libia, 60.000 dall'Eritrea.
7 V. Castellano, La popolazione italiana dell'Eritrea dal 1924 al 1940, Rivista italiana di demografia e statistica.
8 A. Festa, Le istituzioni educative in eritrea, atti del secondo congresso di studi coloniali, 1934, vol.II, Firenze 1935, p.294.
9 "La razza bianca deve imporsi per superiorità affermata non pure assiomaticamente, ma praticamente. Soltanto ci si confonde con chi ci assomiglia, da ciò la necessità di mantenere netta separazione fra le due razze bianca e nera; ciò non significa spregio ed umiliazione dei neri, significa invece differenziazione gli uni dagli altri. Nell'AOI i bianche devono condurre vita nettamente distinta da quella degli indigeni. Codesto governo generale disporrà pertanto:
     I.        che si arrivi gradualmente a tenere separate le abitazioni dei nazionali da quelle degli indigeni;
    II.        che sia evitata ogni familiarità tra le due razze;
   III.        che i pubblici ritrovi frequentati dai bianchi non siano frequentati dagli indigeni;
   IV.        che sia affrontata con estremo rigore - secondo gli ordini del duce - la questione del madamismo e dello sciarmuttismo".
Da un documento dell'Archivio centrale dello stato di Roma, Fondo Graziani, busta 30, fascicolo 2; pubblicato in G.Rochat, Il colonialismo italiano, Loecher editore, Torino 1974.

10 V. Zincone, Il mercato in AOI, in Rassegna sociale dell'Africa Italiana n.2, Febbraio 1939, p.115.

11 A Dalmetta, Il meticciato: attentato alla integrità fisica e spirituale della razza, in Rassegna sociale dell'Africa italiana n.1, Gennaio 1940, p.27.

12 U.G. Andalò, Meticciato. Instabilità, degradamento, improduttività, Ed. Gruppo Scrittori, Bologna 1939, p.43.


BBILIOGRAFIA


Calchi Novati G., IL CORNO D'AFRICA NELLA POLITICA E NELLA STORIA, Etiopia, Somalia e Eritrea fra nazionalismi, sootosviluppo e guerra, Società Editrice Internazionale, Torino, 1994.


Del Boca A., GLI ITALIANI IN AFRICA ORIENTALE, volume I, Dall'unità alla marcia su Roma, Arnoldo Mondadori Editore, Cles (Tn)1992.

Del Boca A., GLI ITALIANI IN AFRICA ORIENTALE, volume II, La conquista dell'impero, Cles (Tn)1992.

Del Boca A., GLI ITALIANI IN AFRICA ORIENTALE, volume III, La caduta dell'impero, Cles (Tn)1992.

Del Boca A., GLI ITALIANI IN AFRICA ORIENTALE, volume IV, Nostalgia delle colonie, Cles (Tn)1992.

Consociazione Turistica Italiana, AFRICA ORIENTALE ITALIANA.GUIDA D’ITALIA DELLA C.T.I., Milano, 1938.

Touring Club Italiano, POSSEDIMENTI E COLONIE, Isole Egee, Tripolitania, Cirenaica, Eritrea, Somalia, Milano 1929.

Gresleri G., Massaretti P.G., Zangoni S., a cura di, ARCHITETTURA ITALIANA D’OLTREMARE 1870-1940, Marsilio, Venezia, 1993.

AA.VV. A cura di Castelli E., IMMAGINI E COLONIE, Centro di documentazione del museo etnografico TAMBURO PARLANTE, Montone (Pg)1998.

Luca Hubler, La questione eritrea nei documenti diplomatici inglesi, in "Africa e Mediterraneo", Febbraio 1996.

CENSIMENTO DELLA POPOLAZIONE INDIGENA DELLA COLONIA, suppl. al n.23- 9 Giugno 1905 del <Bollettino ufficiale> della Colonia eritrea, anno 1905.

REGOLAMENTO EDILIZIO DELLA CITTA’ DI ASMARA, pubbl. nel <Bollettino ufficiale> della Colonia eritrea, n.18 del 30 Aprile 1914, Asmara stabilimento tipografico 1914. 

Luciani S., Taddia I., FONTI COMBONIANE PER LA STORIA DELL’AFRICA NORD-ORIENTALE, Bologna, Università degli studi di Bologna, Dipartimento di politica istituzioni e storia, 1986.

Rochat G., IL COLONIALISMO ITALIANO, Loecher editore, Torino 1974.


Irma Taddia, AUTOBIOGRAFIE AFRICANE,Il colonialismo nelle memorie orali, Centro studi per i popoli extraeuropei "Cesare Bonacossa" dell'Università di Pavia, Milano, FrancoAngeli,1996.

Irma Taddia, L'ERITREA COLONIA 1890-1952, Paesaggi, strutture, uomini del colonialismo, Milano, Francoangeli, 1986.

Tekeste Negash, ITALIAN COLONIALISM IN ERITREA 1882-1941: POLICIES, PRAXIS AND IMPACT, Uppsala, Stockholm, in Acta Universitatis Upsaliensis.

---

* Abstract dal testo:  Eritrea. Spazio, architettura, società; U. Panconi, L. Pommella, Camaiore 2000


in costruzione...


LE TIPOLOGIE ABITATIVE DEI POPOLI DELL'ERITREA



HUDMO'
Hudmo' (facciata principale)

Tipo di abitazione dell’Hamasèn e dell’Acchelè-Guzài formata da un unico ambiente rettangolare con un divisorio costituito da una serie di grandi vasi per il grano (gofò) che, semplicemente accostati o uniti mediante intonaco, realizzano una parete continua ad altezza d’uomo. Gli spazi principali così delimitati sono: il medribèt che risulta un ambiente piuttosto grande con diverse funzioni quali dimora degli uomini di casa, spazio per gli ospiti, riparo per il bestiame (specialmente i muli) e l’usciatè che è più piccolo e costituisce la parte essenziale della casa, cioè quella destinata ai lavori di cucina e alla vita intima della famiglia. Nelle case di famiglie ricche vengono aggiunti altri ambienti quali : il magazzino (ghetrà), la stalla (per i buoi, endatàl,o per capretti, betderabà), i cortili annessi (dembè o degghè o beghehà) e un porticato anteriore (uogafè nell’Hamasèn, ghebelà o gabelà nell’Acchelè Guzai). La struttura portante consiste in tre o più serie di 
tronchi d’albero, piantati nel suolo, con la sommità biforcata per appoggiare le travi su cui sono disposti trasversalmente rami e fascine ricoperte da uno strato di frasche e terra che forma un tetto di notevole spessore. Quest’ultimo sporge da tutti i lati ed è spesso sostenuto da una serie di pali esterni addossati alle pareti che costituiscono l’estensione della struttura portante interna. Qualche volta il tetto, nella parte posteriore, si appoggia su un pendio roccioso che in tal caso determina in modo naturale una o anche più pareti della abitazione. Il soffitto non si eleva oltre i tre metri; mancano le finestre, ma le pareti, non raggiungendo il tetto, lasciano un’apertura continua alta qualche decimetro, attraverso cui filtra l’aria e la luce. Le pareti sono costituite da pietre, fango o argilla che formano muri spessi oltre mezzo metro ma di sezione assai irregolare. Tali muri non hanno funzione portante ma solo di tamponamento. Nell’abitazione alcune misure si ripetono frequentemente in quanto dipendono dalla lunghezza, quasi costante, delle travature in legno del tetto. Infatti l’orditura di pali verticali forma una specie di griglia con misure ricorrenti di circa due metri e mezzo di luce. In ultima analisi anche le dimensioni degli hudmò si ripetono variando in funzione del numero delle campate utilizzate (in genere queste abitazioni hanno due o tre navate longitudinali).



Scheda: elaborazione U.Panconi e L.Pommella

Tipologie abitative dei popoli dellEritrea in costruzione.... 




 Elaboazioni e testi tratti da: Eritrea. Spazio, architettura, società; U. Panconi, L. Pommella, Camaiore 2000

 Fonti bibliografiche
G.B. Licata, ASSAB E I DANACHILI, Fratelli Treves Editore, Milano, 1885.
R. Perini, LA ZONA DI ASMARA, Voghera Enrico, Roma 1894.
INDICE DELLE LOCALITA’ ABITATE DELL’ERITREA, Tip. Militare, Massaua, 1895.
CENSIMENTO DELLA POPOLAZIONE INDIGENA DLLA COLONIA, in: <Bollettino Ufficiale> della Colonia Eritrea, 1905.
W.Munzinger, STUDI SULL'AFRICA ORIENTALE, Voghera Carlo, Roma, 1890
K.G.Rodén, LE TRIBU' DEI MENSA, Evangeliska Sosterlands Stiftelsen Sorlags expedition, Stockholm, 1913.
G.Dainelli, COLLEZIONI DI MONOGRAFIE ILLUSTRATE, Istituto Italiano d'Arti Grafiche Editore, Bergamo, 1908.
G.Dainelli, O.Marinelli, RISULTATI SCIENTIFICI DI UN VIAGGIO NELLA COLONIA ERITREA, Tip.Galletti e Cocci Firenze, 1912.
G Dainelli, Case abissine d’Eritrea, in: <Le vie d’Italia> n.2, Febbraio 1936.
AA.VV., L'AFRICA orientale, Zanichelli editore, Bologna.
C.Calciati, L.Bracciani, NEL PAESE DEI CUNAMA, missione Corni-Calciati-Bracciani in Eritrea 1922-1923, Soc. Ed. Unitas,Milano, 1927.
A.Pollera, I BARIA ED I CUNAMA, Reale Società Geografica, Roma, 1914.
A.Pollera, LE POPOLAZIONI INDIGENE DELL’ ERITREA, Licinio Cappelli-Editore, Bologna, 1935.
A.Maugini, LE COLONIE ITALIANE DI DIRETTO DOMINIO, Ministero delle Colonie, 1931.
A.Mori, ETIOPIA-ERITREA-SOMALIA, PRIMA DELL'AVVENTO DELL'IMPERO, Dott. F.Vallardi, Milano 1936.
C.Conti Rossini, ETIOPIA E GENTI D'ETIOPIA, R.Bemporad & F.°- Editori, Firenze, 1937.
AA.VV., LA TERRA, trattato popolare di GEOGRAFIA UNIVERSALE, VOLUME IV, A.Biasutti, L'AFRICA, Casa Editrice Dott. F. Vallardi, Milano.
AA.VV., L'ETIOPIA, Collana della Enciclopedia Italiana - Serie seconda vol.V, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 1935.
L.Venieri, Archivio per l'Antropologia e l'Etnologia fondato da Paolo Mantegazza, volume LXV, 1935, XIV, fascicolo
1°-4°, SULLA ETNOGRAFIA DEI SAHO (Missione Scientifica Eritrea del 1905), Tipografia d'arti grafiche S. Bernardino, Siena, 1936.
Consociazione Turistica Italiana, AFRICA ORIENTALE ITALIANA-GUIDA D’ITALIA DELLA C.T.I., Milano, 1938.
Vinigi L.Grottarelli, C.Massari, MISSIONE DI STUDIO AL LAGO TANA, Reale Accademia d’Italia, Roma, 1943.
AA.VV., ENCICLOPEDIA ITALIANA di Scienze Lettere ed Arti, R.Biasutti, LE RAZZE E I POPOLI DELLLA TERRA, Torino, 1955.
I.Taddia, L'ERITREA COLONIA 1890-1952, Milano, Francoangeli, 1986.
G.Cataldi, R.Larco, F.Pellegrino,F.Tamburini, TIPOLOGIE PRIMITIVE 1, Alinea, Firenze 1982.
Cataldi G. a cura di, ALL’ORIGINE DELL’ ABITARE, Alinea, Firenze, 1986.
Cataldi G. a cura di, LE RAGIONI DELL’ABITARE, Alinea, Firenze, 1988.

Fonti iconografiche

G.Dainelli, O.Marinelli, RISULTATI SCIENTIFICI DI UN VIAGGIO NELLA COLONIA ERITREA, Tipografia Galletti e Cocci Firenze, 1912.
Vinigi L.Grottarelli, C.Massari, MISSIONE DI STUDIO AL LAGO TANA, Reale Accademia d’Italia, Roma 1943
L.Venieri, Archivio per l'Antropologia e l'Etnologia fondato da Paolo Mantegazza, volume LXV, 1935, XIV, fascicolo 1°-4°, SULLA ETNOGRAFIA DEI SAHO, Tipografia d'arti grafiche S. Bernardino, Siena, 1936
C.Calciati, L.Bracciani, NEL PAESE DEI CUNAMA, missione Corni-Calciati-Bracciani in Eritrea 1922-1923, Soc. Ed. Unitas,1927, Milano.
G.Cataldi, R.Larco, F.Pellegrino,F.Tamburini, TIPOLOGIE PRIMITIVE 1, Alinea, Firenze 1982.

Fonti fotografiche

Museo di Antropologia di Firenze
Fototeca dell’Istituto Agronomico per l’Oltremare, Firenze
A.Pollera, I BARIA ED I CUNAMA, Reale Società Geografica, Roma, 1913.
AA.VV., ENCICLOPEDIA ITALIANA di Scienze Lettere ed Arti, R.Biasutti, LE RAZZE E I POPOLI DELLLA TERRA, Torino 1955.